Il Decreto-Legge sulla cittadinanza va assolutamente modificato nell’interesse degli italiani all’estero. Parola del CGIE.

(Foto: festa di italiani all’estero)

Riceviamo da Chantal Iannuzzi, responsabile dell’ufficio stampa del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero il sollecito al Governo e al Parlamento di modificare il decreto-legge n.36, riguardante il diritto di acquisire la cittadinanza italiana. L’iter della conversione è stato ora avviato al Senato. REA International pubblica e condivide le preoccupazioni espresse dal CGIE, che riguardano milioni di discendenti italiani nel mondo. Purtroppo, buona parte dell’opinione pubblica e della grande stampa trascura l’importanza di mantenere ben saldi i rapporti con i nostri connazionali all’estero. Quando si parla e si scrive in materia cittadinanza si ha spesso in mente solo la questione degli immigranti provenienti soprattutto dall’Africa e dall’Europa orientale,  e non quella che direttamente coinvolge l’altra Italia, fatta da 60 milioni di figli e nipoti di italiani che amano l’Italia, che vogliono diventare italiani, che fanno turismo nel bel Paese e che comprano italiano. Sarebbe un errore storico dimenticarli (Rainero Schembri).

Documento CGIE.

Entra nel vivo al Senato il dibattito parlamentare per la conversione del decreto-legge 36/2025: “Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza”. Sin dalla sua emanazione, il provvedimento ha sollevato allarme e incertezza tra i cittadini italiani residenti all’estero e tra coloro che, in linea con la normativa fino a quel momento vigente, avevano già avviato o intendevano avviare un percorso di riconoscimento della cittadinanza.

Il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, unica istituzione della Repubblica a rappresentare in modo organico le comunità italiane e italodiscendenti nel mondo, ha subito evidenziato, nel corso degli incontri istituzionali e delle audizioni parlamentari, come l’interpretazione eccessivamente restrittiva delle nuove norme per discendenza iure sanguinis finirebbe per determinare sentimenti di disaffezione e, nel giro di due o tre generazioni, rischierebbe di compromettere il rapporto tra le comunità degli italodiscendenti e l’Italia. In particolare, occorre riconsiderare la disposizione che subordina il riconoscimento della cittadinanza al requisito che l’ascendente italiano sia nato in Italia o vi abbia risieduto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente. Tale misura, unita alla nuova limitazione a due sole generazioni, rappresenta un cambiamento drastico e improvviso rispetto al quadro normativo precedente, che genera disorientamento per i casi già in corso.

Il CGIE aveva posto la riforma della cittadinanza tra le sue priorità nella convinzione che fosse necessario correggere le attuali distorsioni del sistema, ma l’applicazione del provvedimento nell’attuale formulazione creerebbe disuguaglianze fra nati in Italia e all’estero, nonché situazioni paradossali come, ad esempio, l’impossibilità di un italiano nato all’estero di trasmettere la cittadinanza al secondo figlio venuto al mondo dopo la data di entrata in vigore del decreto. Il CGIE inoltre ha sempre evidenziato come questa tematica non possa ridursi esclusivamente a uno status giuridico, ma debba concernere la consapevolezza, ossia il legame effettivo e identitario con il Paese, che passa attraverso la conoscenza della lingua e della cultura, nonché delle nozioni costituzionali su cui si fonda la Repubblica Italiana; un orientamento, del resto, espresso anche dalla Commissione Affari esteri del Senato nelle osservazioni che accompagnano il parere sul decreto.

Ringrazia pertanto l’impegno dei Parlamentari di maggioranza e opposizione che si sono attivati per presentare emendamenti tesi a correggere le criticità che deriverebbero dall’applicazione del provvedimento, chiedendo con forza al Governo di accogliere le proposte migliorative che vanno in questa direzione – così come si compiace di aver raccolto la richiesta di riaprire i termini per il riacquisto della cittadinanza per quanti l’hanno persa in ragione di normative restrittive previgenti sia nazionali che estere – nonché di dimostrare senso di responsabilità e visione strategica ascoltando le istanze delle collettività italiane nel mondo che costituiscono una risorsa e chiedono di salvaguardare il diritto al riconoscimento della cittadinanza da parte di chi ha un’identità italiana e mantiene un legame effettivo con il Paese a prescindere dal numero di generazioni.