
(Foto: Da sinistra Fabio Porta e Nello Gargiulo)
Di Rainero Schembri
“Da oggi si diventa cittadini se si ha almeno un nonno italiano e nato in Italia”. Lo ha spiegato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel corso della conferenza stampa a palazzo Chigi al termine della riunione del Consiglio dei ministri che ha varato una stretta sulle norme che regolano la cittadinanza italiana. Questo provvedimento, in buona parte alimentato dal gravissimo scandalo della vendita di migliaia di passaporti falsi, arriva in un momento molto particolare che vede diminuire sensibilmente il numero degli italiani nel mondo. Basti ricordare che nei primi 6 mesi del 2024 ci sono state ben 4mila nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Ormai il numero di figli per ogni donna si è attestato all’1,20% (ampiamente sotto del così detto livello di sostituzione). Le conseguenze potrebbero essere gravissime. Oltre allo spopolamento di intere aree del Paese stiamo assistendo a un progressivo invecchiamento della popolazione (con gravi ripercussioni, tra l’altro, sul sistema previdenziale), integrata dalla cosiddetta fuga dei cervelli: più di 100mila negli anni 2022 e 2023. Una fuga che è costata circa 134miliardi negli ultimi 13 anni. Ma torniamo alle restrizioni in materia di concessione della cittadinanza sentendo due esperti: Fabio Porta, deputato eletto nella Circoscrizione Sud America e Nello Gargiulo, del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Entrambi molto critici su alcuni aspetti del provvedimento governativo. Per la cronaca, la questione della cittadinanza è all’ordine del giorno del prossimo Comitato di Presidenza del CGIE, alimentando non poche aspettative nelle Comunità italiane all’estero.
Fabio Porta: Costi esorbitanti cancellano i diritti. Per l’on Porta, con la legge di Bilancio per il 2025 è stata introdotta una norma (articolo 106) che aumentando i costi dei procedimenti legali per le controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana mira a disincentivare le richieste di acquisizione della cittadinanza. In particolare, la disposizione introduce una nuova regola in forza della quale viene previsto che il contributo dovuto per le controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana passi da 518 a 600 euro. In sostanza, viene stabilita la novità secondo cui, anche se la domanda è proposta nel medesimo giudizio da più parti congiuntamente, il contributo è dovuto per ciascuna parte ricorrente (moltiplicando così i costi) …. Tutti i discendenti di emigrati italiani tra loro collegati, che oggi agivano in giudizio insieme e pagavano un unico contributo di 518 euro, ne pagheranno invece 600 a testa, quindi una somma che può anche essere molto elevata (spesso le cause riguardano congiuntamente 4 o 5 componenti della medesima famiglia): questo renderà spesso impossibile, per molte famiglie, la tutela giudiziaria del diritto. È ovvio quindi che questo provvedimento tende a penalizzare il diritto e la volontà di molti nostri connazionali di conseguire la cittadinanza italiana iure sanguinis.
Nello Gargiulo: Concentriamoci sulla conoscenza della lingua e della cultura civica. In una lettera indirizzata dal Consigliere CGIE al Ministro degli esteri Antonio Tajani, si può leggere: …. “andrebbero seriamente riconsiderati i requisiti ed i meccanismi di riconoscimento della cittadinanza, più opportunamente legati alla conoscenza della lingua e della cultura civica, che possono essere conseguiti attraverso organismi certificatori formalmente riconosciuti, come già avviene nel caso della cittadinanza richiesta per matrimonio….. Il requisito della lingua potrebbe essere un elemento da considerare anche in quei casi dove nonni o genitori sono stati costretti a rinunciare alla cittadinanza italiana per motivi di lavoro o di soggiorno nelle terre di emigrazione. Il diritto di recupero in molti casi di prime e seconde generazioni andrebbe adeguatamente considerato come un ‘’atto di benevolenza‘’ anche perché la linea Ius Sanguinis in questi casi si è vista interrotta non per una libera scelta del connazionale. Per questi casi, una modifica della legge potrebbe farsene carico con la condizione di compiere con il requisito certificato, della conoscenza della lingua italiana come un principio fondante della cittadinanza italiana.
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Giuste le osservazioni che fa il Consigliere Nello Gargiulo, dato che non c’è dubbio dell’importanza della lingua nello sviluppo del senso di appartenenza o vincolo con una certa cultura.
Secondo me questo Decreto legge è stato fatto troppo alla svelta e in maniera semplicistica per affrontare delle gravi irregolarità che stavano accadendo e che naturalmente nessuno potrebbe accettare. Venendo dal mondo dell’Accademia, penso che non ci sarebbe niente di male nel creare degli strumenti di valutazione o verifica che permettano di stabilire il livello di conoscenza della lingua, storia, geografia, ecc e a seconda dei voti ottenuti si ha il diritto della cittadinanza per durate differenziate. Cioè non sanguinis o solis (di cui la persona non ha fatto nulla per avere quelle condizioni) ma “ius culturalis” che invece sì avrebbe tutta la responsabilità. Questo obbligherebbe tutti coloro che risiedono all’estero e che vogliono avere/mantenere la cittadinanza, ad avere un occhio, un orecchio e un pezzo del cuore sull’Italia. Naturalmente queste prove di verifica dovrebbero essere fatte con un certo “criterio” (non ghigliottine), da persone con provata traiettoria culturale e magari con una seconda possibilità nel caso che in qualcuno dei parametri uno venga bocciato. Un po’ come funzionano le Certificazioni dell’italiano come Lingua straniera. In questo modo si potrebbe anche accoglere come “italiano” chi semplicemente ama l’Italia. (e ce ne sono tanti), perché no?