
(Foto: sullo sfondo della Casa Rosada a Buenos Aires, sede della Presidenza della Repubblica argentina, nel riquadro grande il Presidente Javier Milei insieme a Fernando Ayala)
Laureato in Economia all’Università di Zagabria in Croazia, Fernando Ayala ha un master in scienze politiche presso l’Università Cattolica del Cile. Dalla carriera diplomatica si è ritirato nel 2018, dopo 36 anni di servizio in numerosi Paesi, tra cui Ecuador, Corea del Sud, Svezia, Stati Uniti e, come Ambasciatore, in Vietnam, Portogallo, Trinidad e Tobago, nonché in Italia. Di ritorno inpatria, è stato dal 2020 al 2022 Vicedirettore degli Affari strategici presso l’Università del Cile. Nell’ambito, poi, del governo del Presidente Gabriel Boric, ha svolto per un certo periodo l’incarico di sottosegretario alla Difesa. Di seguito riportiamo una sua interessante analisi sul futuro dell’Argentina e del Presidente Javier Milei, che ci ha fatto pervenire e che già è stata pubblicata sul prestigioso sito della Treccani.
Di Fernando Ayala
Javier Milei, insediatosi al governo nel dicembre 2023 con la promessa di porre fine alla casta politica, ridurre l’influenza dello Stato e «mettere in funzione la motosega» (simbolo del suo mandato) che ha portato in dono durante la sua prima visita negli Stati Uniti, ha vinto le elezioni legislative dello scorso 26 ottobre. Ora sogna un futuro radioso per il suo Paese, guardando al passato, ai primi decenni del XX secolo, quando l’Argentina era tra i Paesi più ricchi del mondo.
L’instabilità politica e le promesse non mantenute hanno contribuito a creare l’attuale realtà dell’Argentina, uno dei Paesi più importanti dell’America Latina in termini di risorse naturali e umane. Le recenti elezioni hanno portato a un’inaspettata vittoria del governo del presidente Milei e del suo partito, La libertad avanza (LLA), fondato nel 2022, che era reduce da una dolorosa sconfitta nella provincia di Buenos Aires lo scorso 7 settembre, quando il governatore Axel Kicillof, rappresentante del peronista Partido justicialista (PJ), ha vinto con ampia maggioranza. Non è facile spiegare come, poche settimane dopo, il presidente Milei abbia celebrato una vittoria che ha definito «storica» e che darà inizio a quella che ha chiamato la fase delle «riforme di seconda generazione», incentrate sul mercato del lavoro e su quello fiscale. Tuttavia, la vittoria non gli garantisce la maggioranza assoluta dei voti, quindi sarà costretto a sedersi al tavolo delle trattative per negoziare le nuove riforme che intende portare avanti e che si traducono in una significativa riduzione delle dimensioni dello Stato e nell’eliminazione di molte garanzie sociali che fanno parte della cultura argentina, dove ogni cittadino è cresciuto secondo i principi peronisti di giustizia sociale e indipendenza economica.
Per questo motivo, la reazione alle parole del Presidente a Washington, due settimane prima delle elezioni, è stata molto forte. Milei si è recato negli Stati Uniti per chiedere disperatamente un salvataggio economico da 20 miliardi di dollari. Ha dovuto ascoltare le parole del presidente Trump, che ha affermato: «In Argentina stanno morendo di fame» e che ha subordinato l’aiuto alla vittoria alle elezioni, affermando: «Se Milei perde, non saremo generosi». Gli Stati Uniti si sono quindi rivelati un buon amico, disponibile ad aprire il portafogli, e hanno già iniziato a erogare il prestito sotto forma di swap o scambio di valuta argentina tra il dipartimento del Tesoro statunitense e la Banca centrale. Per gli elettori che hanno sostenuto Milei, la linea di credito ha funzionato, e il debito argentino che ha già superato i 300 miliardi di dollari, continuerà ad aumentare. Non è chiaro cosa abbia offerto Milei a Trump, ma è evidente che ha fatto rivivere la vecchia dottrina Monroe dell’“America per gli americani”.
Limitare l’influenza della Cina è una priorità per Trump e Milei dovrà mantenere un delicato equilibrio per via dei debiti contratti con Pechino, mentre Washington ha iniziato senza alcun pudore e senza rispetto per il diritto internazionale a colpire e distruggere, senza neanche fermarle, le imbarcazioni che presumibilmente trasportano droga nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico, al largo delle coste del Venezuela e della Colombia. Ad oggi sono state distrutte 14 imbarcazioni e uccise 61 persone.
Cosa spiega il sostegno degli argentini al programma di riforme del presidente Milei? Senza dubbio, la stanchezza nei confronti della classe politica tradizionale, caratterizzata da inefficienza, corruzione e crisi economica, con la volatilità del dollaro e un’inflazione elevata che colpisce tutti, ma soprattutto i settori popolari, e il cui tasso, all’inizio dell’attuale governo, raggiungeva il 211,4%, per scendere nel 2024 al 117,8% e a settembre di quest’anno al 22%, il 31,8% negli ultimi 12 mesi.
A sua volta, il tasso di povertà è sceso al 31,6% nel primo semestre del 2025, il dato più basso dal 2018. In altre parole, le politiche attuate, che hanno richiesto duri sacrifici ai settori più vulnerabili, hanno avuto successo. Oggi, l’informalità nel mondo del lavoro riguarda circa 9 milioni di lavoratori, pari al 43,2% della forza lavoro, e rappresenta una delle priorità di Milei, che mira a ridurla e a creare posti di lavoro stabili.
Sulle recenti elezioni argentine si è aperto un ampio campo di ricerca per i sociologi, dal momento che solo il 68% degli elettori ha votato, facendo registrare la più bassa affluenza alle urne dal ritorno della democrazia, nel 1983. Ciò significa che 12 milioni di persone non si sono recate ai seggi. Alla vittoria di Milei ha contribuito anche una nuova generazione di elettori, diversa da quella che ha sostenuto l’ex Presidente nel primo decennio di questo secolo. Un sondaggio pubblicato dal quotidiano Clarín il 1° luglio 2025 mostrava che il 41% dei giovani tra i 16 e i 35 anni avrebbe votato per il partito di Milei. Il suo fascino sembra risiedere nel fatto che non fa promesse, dice ciò che pensa senza filtri, veste in modo trasandato e ama il rock. Dal punto di vista culturale, i giovani di oggi, nella maggior parte dei Paesi della regione, sono privi di riferimenti ideologici, fatta eccezione per gli youtuber e gli influencer che li raggiungono attraverso i social network. Inoltre, portano il peso delle promesse non mantenute dei loro genitori e nonni. La destra tradizionale, rappresentata dal partito dell’ex Presidente e da altri partiti minori, ha invece alimentato la crescita elettorale di La Libertad Avanza. L’ombra dell’estrema destra sembra estendersi dall’Europa e dagli Stati Uniti all’Argentina. Probabilmente arriverà anche in Cile, che a novembre affronterà le elezioni con otto candidati, due dei quali si contenderanno la presidenza il 14 dicembre.
L’Argentina, come la maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea, ha deciso di accettare le imposizioni degli Stati Uniti e di diventare un loro alleato incondizionatamente. La bussola strategica di Washington per la regione ha un obiettivo centrale: oltre a cercare di rovesciare i regimi venezuelano, nicaraguense e cubano, mira a ridurre o annullare la presenza cinese in aree considerate strategiche per le risorse naturali, le infrastrutture critiche, le comunicazioni e, soprattutto, per la proiezione sull’Antartide. L’applicazione di misure economiche e sociali restrittive, che producono buoni indicatori macroeconomici ma penalizzano i redditi più bassi, sarà la prova che il governo del presidente Milei dovrà superare, se vorrà essere rieletto tra due anni.
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